Strumenti per la risoluzione alternativa delle controversie: mediazione e negoziazione assistita

Non è una novità che il sistema giudiziario italiano sia oberato di procedimenti: i tribunali italiani, in altri termini, sono congestionati da un’immensa mole di procedure, che faticano a smaltire.

Per tentare di ridurre il numero dei casi che approdano dinanzi alle autorità giudiziarie e, conseguentemente, la durata media dei procedimenti, il legislatore ha introdotto alcuni strumenti utili alla risoluzione stragiudiziale delle controversie, tra i quali assumono particolare rilievo, in ambito civile, la mediazione civile e commerciale e la negoziazione assistita.

Entrambi questi istituti rientrano nell’ambito delle c.d. ADR (“Alternative Dispute Resolution”), ossia procedure di gestione delle controversie, alternative al procedimento giurisdizionale ordinario, finalizzate alla risoluzione del conflitto.

In particolare, ai sensi del D.lgs. n. 28/2010 per mediazione civile e commerciale si intende l’attività svolta da un terzo imparziale (c.d. mediatore) e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la definizione della stessa.

La mediazione, dunque, si configura come strumento utile per la definizione delle controversie civili alternativo al giudizio ordinario, il quale presenta il vantaggio di poter risolvere questioni controverse in tempi rapidi (il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi, così come disposto dall’art. 4 del D.lgs. n. 28/2010) e con costi contenuti. In particolare, l’intero procedimento di mediazione si svolge avanti un apposito organismo iscritto nel relativo registro degli organismi di mediazione tenuto dal Ministero della Giustizia, in presenza delle parti (assistite dai rispettivi legali) e del mediatore, ed è svincolato dalle rigidità procedurali e burocratiche tipiche dei procedimenti avanti ai Tribunali.

Nell’ordinamento giuridico civile italiano si distinguono tre diversi tipi di mediazione:

1) la mediazione facoltativa (o volontaria): le parti decidono spontaneamente di ricorrere alla procedura di mediazione per la definizione di qualsiasi controversia che verta in materia di diritti disponibili;

2) mediazione delegata: il giudice, considerata la natura della causa, nonché lo stato dell’istruzione e del comportamento delle parti, prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni o prima della discussione della causa, dispone l’esperimento della procedura di mediazione. In questo caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale;

3) mediazione obbligatoria ex lege: il preventivo esperimento del tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità della successiva ed eventuale domanda giudiziale. La mediazione è obbligatoria solo rispetto alle controversie relative ad alcune materie specificamente individuate all’art. 5, comma 1bis, D.lgs. 28/2010, quali: condominio; diritti reali; divisione; successioni ereditarie; patti di famiglia; locazione; comodato; affitto d’aziende; risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità; contratti assicurativi, bancari e finanziari.

In particolare, nei casi di mediazione delegata e di mediazione obbligatoria ex lege, l’esperimento del tentativo di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, per cui la sua mancanza rende improcedibile la domanda giudiziale stessa, imponendo così al giudice di rigettarla (la domanda) con una sentenza di rito, senza affrontare il merito della controversia.

Se, all’esito della procedura di mediazione, le parti raggiungono un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo. Tale accordo, ove sia stato sottoscritto dalle parti e dai rispettivi avvocati, ha valore di titolo esecutivo. Viceversa, se l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare un’offerta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento.

Ad ogni modo, se il procedimento di mediazione si conclude negativamente (o per mancata adesione della parte chiamata in mediazione o per mancato accordo delle parti), il verbale negativo redatto dal mediatore varrà per assolvere alla condizione di procedibilità nei casi di mediazione delegata e di mediazione obbligatoria.

Rispetto all’altro strumento avente natura deflativa del contenzioso civile, ossia la negoziazione assistita, si osserva che tale istituto è stato introdotto e disciplinato dal D.L. n. 132/2014, convertito con modifiche con L. n. 162/2014. In particolare, all’art. 2 si prevede che “la convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo (…)”.

Si nota immediatamente che, a differenza della mediazione civile e commerciale, la procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati è caratterizzata dalla devoluzione ai professionisti legali iscritti agli albi del compito di assistere le parti al fine di comporre la controversia tra loro in essere. In questo caso, dunque, manca un soggetto terzo, esterno, estraneo alla vicenda (qual è il mediatore) che ha il compito di agevolare il dialogo tra le parti, facilitando il raggiungimento di un accordo.

Al pari della mediazione, però, anche la negoziazione assistita è caratterizzata da tempi di definizione della vertenza in essere molto brevi. Ed invero, al comma 2, il sopracitato art. 2 del D.L. n. 132/2014, convertito con modifiche con L. n. 162/2014, prevede che la procedura debba espletarsi entro un termine concordato non inferiore ad un mese e non superiore a tre, termine che può comunque essere prorogato di ulteriori trenta giorni su accordo delle parti.

Anche la negoziazione assistita può rappresentare condizione di procedibilità, ma solo limitatamente alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti ovvero in caso di domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. Come per la mediazione, anche nel caso della negoziazione assistita, quando l’esperimento del procedimento de quo è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il suddetto termine di cui all’art. 2, comma 2, lettera a), del D.L. n. 132/2014, convertito con modifiche con L. n. 162/2014.

É interessante tra l’altro osservare che mediazione e negoziazione non sono strumenti fra loro alternativi l’uno all’altro, potendo benissimo convivere all’interno di una medesima controversia: ad una negoziazione con esito negativo potrà seguire un tentativo di mediazione e, viceversa, ad una mediazione fallita potrà seguire un tentativo di negoziazione.

Mediazione civile e commerciale e negoziazione assistita sono istituti che stanno conoscendo un momento di notevole diffusione. A differenza di quanto accadeva in passato, oggi, sempre più spesso, si decide di ricorrere a questi strumenti di risoluzione delle controversie in fase pre-contenziosa. Ed invero, oltre all’indubbio vantaggio che ne deriva per il sistema giudiziario italiano (che viene “alleggerito” di tutte quelle procedure che potrebbero essere agevolmente definite anche senza adire necessariamente l’autorità giudiziaria), anche le parti hanno interesse a ricorrere a procedimenti che garantiscono loro di poter comunque raggiungere ed ottenere un risultato soddisfacente, ma con il vantaggio di tempi ridotti, costi contenuti e procedure più snelle.

In futuro, si auspica che il ricorso a sistemi di composizione delle controversie come quelli qui generalmente analizzati sarà sempre più frequente, anche rispetto a quelle materie per le quali essi non rappresentano una condizione di procedibilità. Gli indubbi vantaggi correlati a questi procedimenti, infatti, sono evidenti e chiari a tutti.

L’ambito della definizione stragiudiziale delle controversie, per molto tempo trascurato e confinato in secondo piano rispetto a quello giudiziale, sta espandendosi sempre più. È dunque naturale che il sistema normativo italiano sarà presto chiamato ad adeguarsi alle mutate esigenze di una società che “corre” e che necessita (ove possibile) di avvalersi di procedure rapide e snelle, intervenendo con discipline idonee a favorire sempre più il ricorso alle c.d. ADR.