Con l’art. 5, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, l’esecutivo, con la forma del decreto legge, ha introdotto una nuova fattispecie di reato, che nel linguaggio comune è divenuto il reato di “rave party”, a volte con la precisata appendice “illegale”.
La norma, disposta dall’art. 434 bis del codice penale, è rubricata “ Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica…” e troverebbe forma “….nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica…” .
Letta la norma, si osserva che gli elementi costitutivi che “in potenza” integrerebbero il delitto di nuovo conio sono: a) l’invasione arbitraria, cioè abusiva, “detta meglio” non autorizzata dal proprietario, del terreno o edificio; b) da parte di almeno 51 persone; c) al fine di radunarsi in proprietà altrui.
Soprattutto la finalità, ovvero il dolo specifico indicato alla lettera c) desta diverse perplessità; infatti: non è richiesto o meglio precisato che, per la punibilità, all’invasione debba conseguire il raduno, perché pare sia punito il solo scopo; non è dato sapere cosa s’intenda per raduno e considerato che, si sa’, nel “piu’ ci sta’ il meno”, astrattamente allora anche una festa di compleanno o l’occupazione del cortile di una scuola da parte di studenti intenti a manifestare potrebbero essere perseguiti con la pena detentiva; né, soprattutto, il raduno è declinato nella forma del tanto temuto rave party, tipologia di raduno all’origine della necessità che avrebbe portato l’esecutivo a punire, con tanta fretta, il nuovo delitto.
Configurati questi presupposti – l’invasione, la non autorizzazione del proprietario, le 51 persone, qualsiasi tipo di “scopo raduno” – la norma ne subordina la punibilità al pericolo che potrebbe derivare per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica.
Il condizionale del verbo potere, indica la natura di reato di pericolo del delitto in analisi.
Parametrare la punibilità penale al pericolo, che è concetto per definizione vago e che può essere interpretato diversamente e secondo le diverse sensibilità dei magistrati, delle forze dell’ ordine, dei prefetti, è sempre, appunto, “pericoloso”: soprattutto se paradigma della repressione penale diventa il “pericolo per l’ordine pubblico”, che è concetto estremamente evasivo e dal sapore tutto politico, motivo per il quale nell’articolo 17 della Costituzione, laddove è riconosciuto ai consociati il diritto di riunirsi (e quindi radunarsi), non fu volutamente richiamato.
Ma così è stato previsto.
Ed allora se le almeno 51 persone di cui sopra si riuniscono in proprietà altrui e se tale comportamento probabilmente potrebbe ledere, alternativamente, il regolare andamento della vita sociale nel rispetto delle regole prescritte (rapida definizione di ordine pubblico, che ne svela tuttavia l’indeterminatezza) oppure la pubblica sicurezza (concetto almeno meno insidioso perché riguarda l’incolumità fisica delle persone), i 51 partecipanti potrebbero essere puniti con pene detentive severe, di molto superiori rispetto alle pene già previste in tema di occupazione abusiva di terreni ed edifici, nonché con misure di prevenzione ed anche con la carcerazione preventiva.
Proprio in punto di previsione della pena, si insinuano le principali criticità.
Infatti, la semplice partecipazione al raduno è punita con una pena detentiva inferiore a quanto invece previsto per gli organizzatori o promotori: costoro sono puniti con la reclusione che oscilla tra un minimo di 3 anni ad un massimo di 6, massimo edittale che consente, peraltro, l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche come mezzo di ricerca della prova.
La criticità che genera tale differenziazione di pena, si sostanzia nella previsione della repressione penale già all’atto dell’ organizzazione e promozione del c.d. raduno “pericoloso”, a prescindere, perché non è specificato o chiarito, dall’effettivo svolgimento, poi, di quel raduno.
Una tutela penale anticipata che richiama l’art.115 del codice penale, che riserva, a chi si accorda per commettere un delitto (e il reato in analisi è tale) se il delitto non si consuma ( leggasi il raduno non si svolge) , quantomeno l’applicazione a suo carico di misure di sicurezza, come la libertà vigilata, il divieto di risiedere in un determinato comune, etc.
Peraltro, come accennato, sono previste a carico dei partecipanti o degli organizzatori l’applicazione delle misure di prevenzione, come la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con eventuali obblighi/divieti di soggiorno in determinati Comuni, al pari di quanto previsto per indiziati di reati di mafia e di terrorismo ; come è prevista la confisca di beni come impianti audio e luci, che di per sé, di certo, non sono strumenti atti ad offendere, anzi.
Insomma, la norma così come ad oggi scritta pare sproporzionata e pone diversi dubbi interpretativi e presta il fianco a diversi profili di incostituzionalità.
Peraltro, se l’obiettivo dichiarato era, come dichiarato anche in conferenza stampa, di “……Rafforzare il sistema di prevenzione e di contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali organizzati clandestinamente (c.d. rave party)..” la norma non coglie nel segno, perché di fatto, non si pone come argine di quel fenomeno ma di fatto punisce tutti i tipi di riunione su terreni o in edifici altrui.
Sul punto, si osserva come la semplice occupazione abusiva delle proprietà altrui era già sanzionata all’ art 633 c.p., che infatti punisce, con la reclusione da 1 a 3 anni; “…. chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati , al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto….”.
E tanto induce a ritenere che, nella sostanza, con tale nuova previsione penale il governo abbia voluto colpire piu’ gli assembramenti e soprattutto la loro organizzazione che l’occupazione di proprietà altrui in sè: occupazione che, infatti, come detto, era già punita con la reclusione, a prescindere dal pericolo che da essi potesse verificarsi per l’ordine e la sicurezza pubblica
Queste le ambiguità sostanziali del delitto di nuova formulazione.
Quanto a quella formale, si osserva come l’utilizzo del Decreto Legge per punire tali condotte risulti palesemente illegittimo e pretestuoso, considerato che il rave occorso a Modena, casus belli dell’intervento del governo, si era concluso pacificamente e senza scontri e ad oggi non pare vi sia un’urgenza indotta da eventi simili.
Com’ è noto, l’art 77 della Costituzione prevede che solo in casi “..straordinari di necessità e urgenza….” l’ esecutivo possa usurpare la funzione legislativa al parlamento, e non è certo questo il caso, considerato peraltro che il Decreto Legge è “immediatamente esecutivo” e quindi già oggi il delitto analizzato è punito, con tutti i sè ed i ma sopra descritti; si spera allora in un intervento di buon senso del parlamento, entro i 60 giorni, teso a depenalizzare la norma o quanto meno ad emendarla soprattutto a rispetto del principio di tassatività.