Notevole clamore ha suscitato la sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. V, del 07 gennaio 2016, n.18248 che ha enunciato il principio di diritto secondo cui il furto per fame di una modica quantità di cibo non costituisce reato, in quanto scriminato dallo stato di necessità.
Il caso in esame riguarda il furto in un supermercato da parte di un clochard di due confezioni di formaggio e una di wurstel, per un valore di appena 4 euro; il soggetto, nascosta la merce sotto la propria giacca e recatosi alle casse per pagare un pacchetto di grissini, veniva dapprima notato da un altro cliente nell’azione furtiva e quindi invitato dagli addetti alla sorveglianza a mostrare quanto occultato.
L’uomo veniva così condannato sia in primo che in secondo grado per il reato di furto.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Genova proponeva ricorso per difetto di motivazione e violazione di legge, con richiesta di applicazione dell’art. 131 bis o, in subordine, di derubricazione del fatto da delitto consumato a tentato – non essendo il soggetto riuscito a superare le casse del supermercato.
La Corte di Cassazione, invece, ha addirittura ritenuto che il fatto non costituisse reato in quanto scriminato dallo stato di necessità poiché il clochard avrebbe agito “per far fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi“.
Tuttavia il ricorso allo strumento dello stato di necessità nell’ipotesi di furto per fame ha sollevato non poche perplessità, soprattutto nella giurisprudenza più recente.
L’esimente dello stato di necessità, disciplinata dall’art. 54 c.p., esclude, infatti, la punibilità di un soggetto allorquando il fatto è commesso per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, purché detto pericolo non sia stato da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Tale causa di giustificazione trova il proprio fondamento nel principio dell’interesse prevalente, per il quale nel bilanciamento tra gli interessi sussistenti, l’uno prevale rispetto agli altri, sicché la condotta, qualora integri tutti i requisiti richiesti dalla norma, non è punibile.
Nel caso sopra citato la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti previsti dall’art. 54 c.p.: il clochard avrebbe commesso il furto di una esigua quantità di beni alimentari costretto dal pericolo che sarebbe derivato alla sua salute qualora non si fosse sfamato entro un breve lasso di tempo. La Corte riteneva altresì che il pericolo non poteva reputarsi volontariamente causato dal soggetto e, peraltro, la condotta illecita risultava oltre che proporzionata al pericolo, “non altrimenti evitabile”.
Ma tale orientamento è stato fortemente criticato dalla Giurisprudenza di Legittimità prevalente, ritenendo, invece, che in casi analoghi a quelli appena analizzati, difetti proprio il requisito della necessarietà.
L’esimente dello stato di necessità postula, infatti, il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente causati da uno stato di bisogno economico, qualora a esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non penalmente rilevanti.
Ed infatti con la sentenza n. 11289/19 la Suprema Corte di Cassazione condannava l’imputato per il reato di tentato furto aggravato per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di generi alimentari (per un valore complessivo di Euro 32,77), avendo asportato detti beni dai banchi di vendita dell’esercizio commerciale e avendoli successivamente occultati sotto la giacca, senza tuttavia riuscire nel proprio intento per cause indipendenti dalla sua volontà.
In tale contesto la Corte ha ritenuto non applicabile la scriminante dello stato di necessità, per non essere stata ritenuta provata la sussistenza di un pericolo attuale di danno grave alla persona specificando che “…pur trattandosi di una cifra modesta (Euro 32,77), la causa di giustificazione dello stato di necessità deve essere ricollegabile ad un bisogno impellente, e dunque a una sottrazione minimale, esigua, destinata ad una immediata soddisfazione dell’esigenza alimentare ..” circostanza che non si verificava nel caso di specie.
Ed, infatti, secondo l’orientamento ormai maggioritario della Giurisprudenza di legittimità “lo stato d’indigenza non è di per sé idoneo a configurare la scriminante in questione, non presentando quegli elementi di attualità e inevitabilità del pericolo e atteso che alle persone che si trovano in tale stato è consentito di provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni essenziali per mezzo degli istituti di assistenza sociale” (Cassazione penale sez. IV, 18/01/2019, n.18329.
Pertanto, in tali casi, la scriminante dello stato di necessità difficilmente potrà essere applicato.
E’ verosimile ritenere, invece, che nel caso di furto di generi alimentari determinato dallo stato di indigenza, possa trovare applicazione la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.
Tale norma, infatti, esclude la punibilità di un soggetto e, quindi lo “assolve” , qualora il comportamento illecito, avuto riguardo alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo cagionato, non sia abituale e l’offesa sia di particolare tenuità.