Sul datore di lavoro grava sia un generale obbligo di neminem leadere sancito dall’art. 2043 c.c. sia un più specifico obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore affermato dall’art. 2087 c.c. Nel dettaglio, l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, ogni misura che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, si rende necessaria alla tutela dell’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro. Ne deriva che in capo al datore di lavoro è posto l’obbligo di prevenire qualsiasi danno alla salute: tale dovere non si esaurisce nel mero rispetto delle norme antinfortunistiche bensì contempla il più complesso onere di adozione di tutti quegli strumenti resi disponibili dall’attuale stato della scienza e della conoscenza tecnica (benché non espressamente contemplati dalle norme antinfortunistiche) come sancito per legge.
In linea generale, non appena il datore di lavoro abbia notizia dell’evento deve immediatamente denunciare l’infortunio all’ INAIL che, una volta aperta la pratica, istruirà il sinistro sino a completa stabilizzazione del danno. Una volta raggiunta la stabilizzazione verrà effettuata visita medica presso la commissione apposita per stabilire il grado di invalidità accertata, cui seguirà l’equivalente indennizzo in denaro a seconda della sua gravità.
Tuttavia, l’ INAIL riconosce degli importi in maniera quasi “automatica” al semplice verificarsi dell’infortunio o della malattia che, quindi, non sempre ristorano integralmente gli effettivi pregiudizi subiti dal lavoratore. Nello specifico infatti, l’indennizzo dei danni subiti dal lavoratore di grado pari o superiore al 6%, ma inferiore al 16%, viene erogato dall’ INAIL in capitale. Dal 16% in poi viene erogato in rendita nella misura indicata nelle apposite tabelle del danno biologico applicate dall’INAIL.
Se, invece, i danni superano la misura del 15% vi è una presunzione di incidenza anche sulla capacità lavorativa del soggetto, per cui l’INAIL riconoscerà una rendita mensile a favore del lavoratore il cui importo sarà calcolato secondo il valore riportato dalle predette tabelle.
Come detto però il risarcimento corrisposto dall’INAIL ha natura e funzione diversa rispetto al risarcimento del danno di natura e carattere civilistico : esso infatti mira ad una funzione sociale, allo scopo di garantire mezzi adeguati al lavoratore che abbia subito un infortunio o che si trovi in malattia.
Qualora un lavoratore rimanga coinvolto in un infortunio sul lavoro e laddove dimostri di aver subito un maggior pregiudizio rispetto a quello già liquidato dall’INAIL, potrà richiedere il risarcimento del cosiddetto “danno differenziale” al proprio datore di lavoro .
Il danno differenziale è dunque la differenza tra il danno risarcibile in sede civilistica e l’importo già corrisposto dall’INAIL in caso di infortunio o malattia professionale.
L’integrazione risarcitoria rappresentata dal danno differenziale ristora, in sostanza, il danno alla salute e alla capacità reddituale, il peggioramento della qualità della vita del lavoratore e il suo turbamento interiore, derivanti dall’infortunio o dalla malattia.
La legge di bilancio 2019 e il d.l. n. 34/2019 hanno introdotto alcune previsioni che hanno inciso sul danno differenziale e che restano valide anche nel 2021. In particolare, è stato modificato l’articolo 10 del d.p.r. n. 1124/1965, che oggi, ai commi 6, 7 e 8, così recita: “”Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell’indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti. Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l’indennità d’infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all’art. 39”.
Si è in sostanza precisato che l’eventuale danno differenziale dovuto al lavoratore dal datore di lavoro va calcolato considerando la differenza fra l’ammontare complessivo del danno subito dal lavoratore e l’importo complessivo dell’indennizzo che l’ INAIL gli ha erogato. E qualora il danno sia già stato sufficientemente ristorato dall’INAIL non si avrà alcun maggior risarcimento da parte del datore di lavoro.
Qualora così non fosse, il lavoratore potrà avanzare richiesta risarcitoria del maggior danno patito direttamente al proprio datore di lavoro il quale, aperta la pratica di sinistro con la propria assicurazione, in ipotesi di copertura risarcitoria, potrà ben ristorare l’infortunato del maggior danno patito. Nel caso in cui non si pervenga ad una risoluzione bonaria in via stragiudiziale, al lavoratore resta la possibilità di adire l’Autorità giudiziaria presso la sezione lavoro per richiedere il risarcimento del sopracitato danno differenziale citando in giudizio il datore di lavoro. La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. non è un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Il lavoratore, quindi, ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento, la sussistenza del danno ed il nesso causale tra questi due elementi. Il lavoratore non deve provare la colpa del datore di lavoro giacché opera la presunzione ex art. 1218 c.c.
Invece, il datore di lavoro deve allegare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente (Cass. 3786/2009).
In conclusione, qualora un lavoratore rimanga coinvolto in un infortunio sul lavoro è bene che valuti, con l’ausilio di appositi professionisti, la natura ed il grado della patologia e/o del danno subito in occasione dell’evento occorso e connesso al proprio rapporto di lavoro, al fine di comprendere se vi siano i presupposti per avanzare richiesta del danno differenziale nei confronti del datore di lavoro.