Il contratto di convivenza

La L. 76/2016, meglio conosciuta come “Legge Cirinnà”, ha introdotto importanti novità all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Indubbiamente, l’elemento di maggior risonanza, a livello mediatico e sociale, è stato rappresentato dall’istituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, quale specifica formazione sociale ex artt. 2 e 3 Cost.

Meno propagandata, ma sicuramente parimenti rilevante ed essenziale, è altresì l’introduzione della disciplina delle convivenze di fatto.

Ma che cos’è una “convivenza di fatto”? O meglio, chi sono i “conviventi di fatto”?

L’art. 1, comma 36, della legge de qua definisce i conviventi di fatto come “(…) due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.

In proposito, è doveroso evidenziare che (a differenza del matrimonio) l’esistenza di uno “stabile legame affettivo” è requisito essenziale ed elemento tipico della convivenza: la mancanza di un legame affettivo determinerebbe il venire meno della ragion d’essere della convivenza ai sensi della normativa in esame.

Inoltre, ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al sopracitato comma 36, il successivo comma 37 dispone che, per l’accertamento della stabile convivenza occorre che i conviventi presentino un’apposita dichiarazione anagrafica (in particolare, il riferimento è all’art. 4 e all’art. 13, comma 1, lett. b) del D.P.R. del 30 maggio 1989, n. 223).

Per poter accedere alla normativa di cui alla L. 76/2016, dunque, occorre che sussistano i requisiti di cui all’art. 1, commi 36 e 37 della Legge Cirinnà.

Una volta precisato tale aspetto, si evidenzia come, fino all’entrata in vigore della L. n. 76/2016, ai soggetti non uniti in matrimonio fossero preclusi molti dei diritti e delle facoltà spettanti invece ai coniugi e/o familiari.

A partire dalla Legge Cirinnà, invece, ai conviventi di fatto (così come sopra identificati) sono state (finalmente) riconosciute numerose prerogative. A titolo meramente esemplificativo, ma non esaustivo, si osserva che ai conviventi di fatti vengono riconosciuti gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario (art. 1, comma 38). Ancora, in caso di malattia o ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, in base alle regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari (art. 1, comma 39). In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento; alimenti che saranno assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura stabilita ex art. 438, comma 2, c.c., ai sensi del quale gli alimenti “[…] devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale […]”.

Evidente, dunque, il carattere moderno ed innovativo di tale normativa.

In particolare, tra gli strumenti introdotti dal legislatore con la presente legge figura il c.d. “contratto di convivenza”, mediante il quale i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune. A distanza di quasi sei anni dall’entrata in vigore della L. n. 76/2016, tuttavia, il contratto di convivenza rappresenta ancora per molti un’incognita. La maggior parte delle persone, probabilmente, non ne ha mai sentito parlare ovvero non ha avuto modo di capire fino in fondo quale possa essere l’utilità di un simile istituto. Grazie al contratto in questione, infatti, le parti possono definire sin dall’inizio le regole dirette a disciplinare il proprio rapporto, in particolare con riguardo agli aspetti economici e/o patrimoniali dell’organizzazione familiare, spesso fonte di notevole conflittualità allorquando il rapporto di convivenza si interrompe.

Presupposto indefettibile per la stipula di un simile contratto, come (in generale) per l’applicazione della normativa in esame, è appunto che le parti siano conviventi (convivenza che, come si è già detto, deve risultare da apposita dichiarazione anagrafica), maggiorenni e non interdette, non coniugate, né unite civilmente né parti di altro contratto di convivenza, e, infine, unite da uno stabile legame affettivo.

Specificamente, a livello contenutistico, il contratto di convivenza deve riportare l’indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni relative al contratto medesimo. Inoltre, il contratto in questione può contenere 1) l’indicazione della residenza; 2) l’indicazione delle modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; 3) l’opzione per il regime patrimoniale, compresa la comunione legale dei beni (il regime patrimoniale scelto, comunque, può essere modificato in qualsiasi momento).                                                                                                    

Il contratto di convivenza, inoltre, deve rispettare precisi requisiti formali. Il legislatore ha infatti statuito che esso debba essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio ovvero da un avvocato che ne attestino la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Discorso analogo vale per eventuali modifiche al contratto, nonché per la sua risoluzione.                                                                                                                           

Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione: se presenti, questi si hanno per non apposti.                                                                                                                 

Perché il contratto de quo sia opponibile a terzi, poi, è essenziale che il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione provveda entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.                                                                                                                                        

Se il contratto di convivenza è concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione dell’art. 1, comma 36, della legge de qua; o c) da persona minore di età; o d) da persona interdetta giudizialmente; o e) in caso di condanna per il delitto di cui all’art. 88 c.c., allora è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse.        

Il presente contratto, invece, si risolve nei seguenti casi: 1) accordo delle parti; 2) recesso unilaterale; 3) matrimonio o unione civile tra conviventi o tra un convivente ed altra persona; 4) morte di uno dei contraenti.

La risoluzione, al pari di tutte le altre modifiche, deve essere registrata all’anagrafe del comune di residenza dei conviventi e viene annotata nel certificato del contratto di convivenza. Come emerge chiaramente dalla lettera della norma, l’istituto del quale si tratta può avere ad oggetto solamente gli aspetti patrimoniali inerenti alla relazione tra i contraenti. Non possono invece costituire oggetto di contratto di convivenza gli aspetti non patrimoniali.

L’introduzione di una disciplina atta a regolamentare la convivenza more uxorio, che sempre più si affianca al tradizionale istituto del matrimonio, ha rappresentato un fondamentale passo in avanti per il panorama normativo italiano, che ha saputo evolversi insieme con la società, iniziando a regolamentarne aspetti del vivere quotidiano fino ad ora non considerati, ma non per questo non meritevoli di attenzione. In particolare, con la previsione del contratto di convivenza, il legislatore ha voluto fornire ai cittadini non coniugati né uniti civilmente uno strumento utile a disciplinare gli aspetti patrimoniali della loro vita coppia, così da prevenire eventuali futuri conflitti, dimostrando così di saperne anticipare e soddisfare le esigenze, di poter offrire una pronta e valida soluzione alle innumerevoli e diverse questioni che ne costellano la vita quotidiana.