All’esito del processo penale, l’imputato ritenuto colpevole di un determinato reato dovrà scontare la pena irrogata dal Giudice, in conformità a quanto stabilito dalla legge.
Tuttavia, in casi eccezionali, il soggetto condannato può chiedere al giudice che l’esecuzione della propria pena sia rimandata.
Ciò significa che, in presenza di determinate condizioni, tassativamente previste dagli artt. 146 e 147 c.p., la persona già condannata può rimandare l’esecuzionedella propria sanzione.
È il caso, ad esempio, del condannato che si trovi in condizioni di grave infermità fisica.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 147 comma 4 c.p., il provvedimento di differimento dell’esecuzione della pena non può essere adottato dal giudice o, se è adottato, può essere revocato, qualora sussista il concreto pericolo della commissione di delitti e, quindi, il condannato ritenuto pericoloso dovrà scontare immediatamente la sua pena.
Con la sentenza n. 6300 del 28 gennaio 2022 la Prima sezione della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che, in ogni caso, il giudice di sorveglianza non può respingere l’istanza di sospensione della pena detentiva, richiesta ai sensi dell’art. 147 c.p., senza vagliare la possibilità di concedere la c.d. detenzione domiciliare “umanitaria”, prevista dall’ordinamento penitenziario.
Secondo la suprema Corte, infatti, laddove il giudice ritenga sussistente lo stato di grave infermità mentale del detenuto condannato ad una lunga pena detentiva ma lo consideri pericoloso, potrà superare l’ostacolo previsto all’ultimo comma dell’art. 147 c.p. qualora ritenga che la detenzione domiciliare, concessa in alternativa alla sospensione della pena, sia sufficiente a neutralizzare la pericolosità del soggetto, scongiurando il rischio di commissione di nuovi delitti.
Nel caso di specie, il Tribunale di Catania rigettava l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena per ragioni di salute, presentata da un detenuto ultrasettantenne, che doveva espiare una pena di anni 25 di reclusione.
Il giudice rigettava l’istanza sostenendo che le patologie da cui era affetto il detenuto erano non solo gestibili dai sanitari dell’istituto penitenziario, ma che le cure erano possibili anche attraverso ricoveri saltuari svolti al di fuori della struttura detentiva stessa.
Il detenuto, tuttavia, per il tramite del proprio legale di fiducia, ricorreva con un unico motivo sulla inosservanza o erronea applicazione dell’art. 147 c.p. e art. 47 ter Ord. Pen., nonché sulla mancanza ed illogicità della motivazione, in relazione alla sussistenza dei presupposti per il differimento dell’esecuzione pena.
La Corte accoglieva il ricorso sostenendo che il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena poteva essere disposto qualora, secondo la previsione contenuta nell’art. 147 c.p. comma 1 n.2, il condannato risulti affetto da “una grave infermità fisica”; e, nella medesima ipotesi, l’art. 47 ter comma 1 ter Ord. Pen. stabilisce che il Tribunale di sorveglianza può applicare la detenzione domiciliare, nel caso in cui vi siano esigenze di contenimento della pericolosità sociale del soggetto e tale misura risulti in concreto adeguata, con le restrizioni e le limitazioni possibili, a fronteggiare il rischio residuo.
Inoltre, la Corte ricordava che, per giurisprudenza consolidata, il differimento facoltativo della pena è applicabile in ossequio ai principi affermati dall’art. 27 Cost. comma 3 e art. 32 Cost, quando ricorra almeno una delle seguenti condizioni quali: lo stato patologico del detenuto consenta di configurare un ipotesi infausta ravvicinata; vi sia la probabilità che si configurino notevoli conseguenze dannose per il soggetto, eliminabili o procrastinabili con cure o trattamenti non praticabili in regime inframurario, neppure mediante ricovero in luoghi esterni di cura; ricorrano condizioni di salute talmente gravi da porre l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità o comunque tali da non permettere al detenuto di partecipare, coscientemente, al processo rieducativo.
Per tuti questi motivi, secondo la Suprema Corte, il tribunale avrebbe dovuto compiere un giudizio su più fasi, quali ad esempio: la verifica della compatibilità in astratto della possibilità di accedere al differimento facoltativo dell’esecuzione della pena, tenendo conto della patologia del detenuto; accertare se tale patologia possa essere adeguatamente gestita in rapporto alle concrete caratteristiche dell’istituto in cui il soggetto è ristretto e alle eventuali strutture carcerarie ove poterlo trasferire; verificare se, in ogni caso, sia possibile assicurare interventi diagnostici e terapeutici necessari, attraverso lo strumento del ricovero in luogo esterno di cura.
E, ove si ritenga, all’esito di tale valutazione, che non ricorra alcuna delle predette condizioni, è comunque necessario verificare l’incidenza della condizione detentiva sulla dignità della persona, al fine di accertare l’eventuale disumanità della pena.
Pertanto, in ragione di tutte queste considerazioni, la Cassazione riteneva che tali valutazioni non erano state esaminate dal Tribunale di Sorveglianza di Catania e, pertanto, annullava l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio da svolgersi, con piena libertà valutativa, nel rispetto però dei principi di diritto appena enunciati e colmando le lacune motivazionali precedenti.